Tra le tante discipline sportive alcune si possono assolutamente definire di nicchia, in quanto riservate a un ristretto numero di partecipanti dovuto o alle difficoltà fisiche cui ci si deve
sottoporre o alle peculiarità dei materiali a cui si deve far ricorso per praticarle.
In questi anni di grande risalto mediatico alle imprese eccezionali, alcune aziende del food and beverage hanno affidato la loro comunicazione alla sponsorizzazione di atleti o gare che rientrano a pieno titolo in questa accezione.
Si pensi al volo planato con le tute alari dapprima riservato a pochissimi coraggiosi che cercando il brivido del volo si lanciavano da alte rupi imitando la planata dei grandi uccelli, e che oggi si lanciano da qualsiasi altitudine seguiti da stuoli di cameramen a immortalarne le imprese e purtroppo, a volte, anche i disastri.
Lo stesso alpinismo è da considerarsi uno sport minore, anche se ogni tanto leggiamo degli assembramenti di scalatori sulle vie dell’Everest o del K2, specie nella sua particolare pratica del free climbing. L’immagine di un uomo a torso nudo schiacciato su una parete scoscesa e aggrappato alla roccia come un insetto è forse una delle più forti in relazione alle sfide dell’uomo sulla natura.
L’uomo è da sempre portato alle sfide che mettono alla prova le sue capacità fisiche e mentali e questi esempi di sport cosiddetti minori sono la massima espressione di questo atteggiamento mentale: sicuramente c’è un’elemento di snobismo se alcune attività laterali diventano di moda (pensiamo al SUP, o al padel), ma bisogna riconoscere anche l’esasperazione di tanti davanti al monopolio di certi sport sui media. Allora largo ai piccoli, come si suol dire!